L’ottimismo della responsabilità

di Bruno Giordano

I beni comuni sono ciò che tutti desideriamo per il bene di tutti ma ogni desiderio dipende dalla nostra sensibilità, cultura, lavoro, patrimonio, dal luogo in cui e come viviamo: non tutti però abbiamo gli stessi desideri.

Ambiente, lavoro, giustizia, uguaglianza, cultura, famiglia, informazione, salute, sicurezza sono beni comuni che per equità appartengono a tutti, sono il mezzo per cercare il nostro benessere, nostro nel senso di uso del bene per un interesse privato e nostro in senso collettivo, che significa innanzi tutto non abusarne a spese degli altri. In una società caratterizzata dalla complessità il rapporto tra noi la res publica ha bisogno di dinamiche efficienti, per compensare il deficit di rappresentanza, senza antagonismi ideologici.

L’interesse ad occuparsi dei beni comuni si spiega anche per lo sviluppo delle politiche economiche che a livello globale sono regredite a favore del mercato dove l’intervento statale si è ridotto per la globalizzazione e la privatizzazione, diventando attori fondamentali del rapporto tra diritti, politica e mercato l’apparato giudiziario e le autorità indipendenti. È fondamentale, quindi, l’analisi delle ricadute delle scelte riduttive di politica economica sui diritti fondamentali, quali dignità, vita, studio, genitorialità.

Superare l’idea che sia tutto mercato o tutto Stato significa pensare la democrazia effettiva mediante la partecipazione dove la decisione politica non mira al mantenimento del potere ma al bene comune con istituzioni e politiche per la comunità. Ciò presuppone e postula un confronto continuo tra benessere collettivo, virtù del mercato e sua necessaria regolamentazione e vigilanza. Concorrenza sleale, oligopoli, patrimoni finanziari, previdenza hanno bisogno di meccanismi regolatori controllabili, applicati sempre e con certezza, anche a tutela del welfare e della spesa pubblica, a beneficio delle future generazioni.

Un mercato che prevale sui diritti, sui nostri comportamenti sociali o privati, non soltanto subordina i valori umanistici all’economia, e più specificamente al profitto, ma più ampiamente fa prevalere l’interesse privato sui servizi pubblici, sui valori della dignità umana, su un sistema sostenibile per l’ambiente, sul diritto al futuro. Se ad esempio l’informazione è condizionata al mercato della pubblicità diventa sempre più assoggettata alla committenza commerciale e non all’interesse pubblico a sapere, cosicché il servizio pubblico dell’informazione diviene prodotto mercantile sempre meno libero e indipendente. Invece il diritto di sapere e il dovere di informare alimenta la nostra libertà di pensiero, è un bene comune su cui fondiamo le nostre decisioni quando votiamo, investiamo, risparmiamo, leggiamo, lavoriamo. Come gli azionisti di una società devono sapere tutto della loro società, in modo trasparente, così tutti i cittadini dovrebbero sapere tutto della società cui partecipano. Chi sa può esercitare i suoi diritti, chi sa come gli altri può esercitarli come tutti gli altri.

L’uguaglianza, quindi, non è solo come valore tendenziale ma come risultato del sapere. Una crescita della disoccupazione e delle disuguaglianze può essere contrastata anche pensando che il lavoro non è solo salario, contrattazione, mercato ma è parte della democrazia, ha bisogno non di rapporti di forza ma di regole – pubbliche o contrattuali ma pur sempre regole – e di tutele garantite da un sistema giudiziario che non deve essere forte coi deboli e debole coi forti. Solo una giustizia efficiente garantisce il diritto di avere diritti: non mere enunciazioni di principio o concessioni, ma diritti effettivi da esercitare e vivere realmente. La responsabilità di ogni nostra scelta che riguarda gli altri è un bene comune.